venerdì 31 luglio 2009
Malattie! L'importante è guarire.
Oggi pomeriggio, una mia amica virtuale ha fatto un'appello: pregare per un suo amico affetto da mononucleosi. Il solo sentire questa parola, mi ha riportato alla mente, il dolore quasi fisico e le lacrime versate quando il piccolo Riccardo secondogenito di mia figlia ha contratto questa malattia. E' stato terribile, da bambinone sano e vispo, all'improvviso non mangiava più, si trascinava da una poltrona all'altra, era deperito e non aveva più nemmeno la forza di giocare, sembrava un cucciolo bastonato. I dottori non si spiegavano cosa fosse successo così all'improvviso, e il sospetto di una leucemia ci fece cadere nel terrore più profondo. Mia figlia non si dava pace, si sentiva colpevole, perchè le tornò alla memoria il periodo di quando si rese conto di essere incinta per la seconda volta, era una gravidanza inaspettata, aveva pianto disperata dicendo che un secondo bambino per il momento non lo voleva. Ed ora, viveva la malattia del piccolo come un castigo al suo rifiuto iniziale e l'angoscia era tremenda. Poi portato il piccolo da un nuovo pediatra dopo vari accertamenti la diagnosi: Mononucleosi! Si sospettava l'avesse contratta al mare e così cominciò la cura, in verità non c'è molto da curare, più che altro riposo e antidolorifici per le continue faringiti. Ora si può dire un bambino guarito, non è più un bambinone come prima, il suo bel faccino è più minuto le sue carenza immunitarie fanno si che si ammali più facilmente degli altri, però è tornato ad essere il simpaticone di sempre, vivace, gioioso e pieno di allegria. Fa mille storie per mangiare e tanti cibi non li gradisce più, ma questo poco importa, lo bacio, lo abbraccio e lo stringo sempre fra le braccia e a lui piace perchè è un gran coccolone. Speriamo che quell'incubo non torni mai più nella nostra vita e preservi i miei piccoli da brutte e dolorose esperienze!
lunedì 27 luglio 2009
Piccolo scheletro nell'armadio.
Questa sera seduta sul muretto davanti al giardino di casa, mi gustavo un pò di frescura notturna e parlavo con i miei nipotini, si discuteva sul fatto che non è bello picchiare, che alzare le mani non è da persone ben educate. Alla fine la domanda: nonna tu hai mai picchiato qualcuno? Risposi di no, ma all'improvviso mi tornò alla mente un'episodio della mia infanzia del quale non vado certo fiera, mi guardai bene però dal raccontarlo a Lorenzo e Riccardo. Ricordo erano i tempi del collegio, vi eravamo arrivate da poco io e la mia sorellina, dalla lontana Sicilia. Ci sentivamo spaesate e confuse ma ci facevamo coraggio, perchè io avevo lei e lei aveva me. C'era un piccolo problema, in cortile, io ero alle superiori dal lato delle (grandi) mentre lei era alle elementari, dal lato delle (piccole). Non la perdevo mai di vista, mi sentivo responsabole in quanto sorella maggiore. Un giorno guardando verso il lato delle piccole non l'ho vista giocare, allora sono andata a cercarla, la trovai in un angolo in lacrime, con il faccino nascosto dai suoi meravigliosi ricci, l'abbracciai e le chiesi perchè piangesse, lei mi rispose fra i singhiozzi che una delle (grandi) aveva detto alle altre che non dovevano giocare con lei, perchè era una brutta terrona. Forse la ribellione che avevo dentro, o forse la rabbia che provavo, mai avrei pensato di reagire in maniera così violenta, andai dalla ragazzina in questione la presi per i capelli e la gonfiai di sberle, lei cadendo si attaccò alle mie trecce che avevo lunghissime e mi fece un gran male, così rincarai la dose, ne presi tante, ma a lei non andò certo meglio. Arrivarono le suore che fecero fatica a togliermela dalle mani, ero talmente infuriata che non mi resi nemmeno conto che ormai mi guardavano tutte quante. Ci portarono in direzione tutte e due, era la figlia di una professoressa che insegnava nell'istituto. Ero tutta scarmigliata, rossa come un peperone, Vergogna! Urlava la superiora, in questo istituto non è mai successa una cosa simile. Strano chiedi subito scusa! Certo, quando questa stupida chiederà scusa a mia sorella risposi. Fummo castigate tutt'è due senza cinema, che era la cosa più bella che aspettavamo al sabato. Ripensandoci dopo mi vergognai tantissimo, dal momento che sono stata sempre una bambina molto timida, mi meravigliai io stessa del mio comportamento. Seppi molto tempo dopo che Dorina, (questo era il nome della compagna con la quale avevo litigato), era una bambina abbandonata, anche lei siciliana adottata dalla professoressa. Sentii le suore che dicevano che forse il suo comportamento nei riguardi di mia sorella era dettato dal suo non accettare che lei stessa fosse una (terrona) e per giunta adottata. Venni a sapere molto più tardi già da adulta, che Dorina dopo un forte esaurimento, stava per morire nell'incendio della sua casa, forse provocato da lei stessa. Aveva tutto, ma non ha saputo cogliere quell'occasione, che poteva riscattarla dal torto subito per l'abbandono, non ha mai accettato quella nuova madre che con tanto amore l'aveva accolta, invece era arrabbiata con il mondo intero e il suo malessere le si è rivoltato contro . Questo mi porta ad essere convinta che oltre alla violenza, anche il rancore e l'odio non portano a nulla di buono. Io da parte mia non ho mai più alzato un dito contro nessuno! Sono una pacifista convinta. E quella è l'unica macchiolina nera, su un mio immaginario quaderno bianco!!!!!!!!!!
Ma la lingua italiana dovè andata a finire?
Sarò forse l'unica sulla terra a pensarla diversamente su parecchie cose. Ad esempio: quando imperversavano i Beatles, le mie amiche svenivano al solo sentirli cantare o soltanto nominare, urlavano, si strappavano i capelli, io no! Non ho mai capito quell'atteggiamento psichiatrico, per quattro inglesotti con la frangetta. Riflettendo forse la psichiatrica ero io, ma che posso farci se non li potevo sopportare? Ero giovane come tutti, moderna, alla moda, portavo la minigonna, ma i miei gusti in fatto di musica erano diversi. Ora non sono più una sbarbina, però ci sono ancora un pò di cosette che mi disturbano. Se tutti seguono la stessa musica, io canto fuori dal coro e per questo non mi sento una mosca bianca, ma soltanto un' ITALIANA che vive in Italia. Rincorrendo uno snobbismo fuori luogo, stiamo rischiando di non parlare più l'italiano. Stiamo perdendo la nostra meravigliosa lingua, la musicalità delle nostre belle parole e per cosa? Per l'inglese! Questa lingua si è ormai insinuata nella nostra vita di tutti i giorni come un male incurabile, che peggiora con l'andar del tempo. Potrei capire nell'ambito lavorativo, visto che è la lingua più parlata, o se ci si reca all'estero, ma dopo? perchè sostituire il nostro parlare di tutti i giorni?
Il call center, convencion, game, gossip ecc... perchè non dire come una volta, centraliniste, riunioni, giochi, pettegolezzi ecc..L' affascinante lingua tramandata dai nostri padri, il nostro meraviglioso italiano, soppiantato da un freddo e umido inglese, del quale ormai si fa un uso esasperato. Stando alle statistiche in Italia, siamo sempre meno colti ed è in crescita l'analfabetismo, l'ignoranza cresce persino fra avvocati, dottori, professori ma possiamo stare tranquilli, niente di grave, tanto parliamo l'inglese!
venerdì 24 luglio 2009
Sei sempre qui con me!
Dopo 11 anni, quando pensavo di essermi abituata a non vederti più, ecco che ricompari nella mia mente più viva che mai, ho come l'impressione che tu ti prenda gioco di me, forse mi martelli la mente perchè temi io mi possa scordare di te, ma come è possibile che succeda? Da piccolina ti ho tenuta in braccio, siamo cresciute sempre insieme, le nostre discussioni, le nostre litigate quando non la pensavamo alla stessa maniera, la tua signorilità nell'affrontare la vita, non puoi immaginare sorella cara quanto ti ho voluta bene e quanto ancora te ne voglio, ricordi quanto impazzivi per la pasta con i ceci che faceva la mamma? E ogni volta che tornavi in Italia mi telefonavi per avvertirmi di prepararla che saresti arrivata? E il vino che bevevi volentieri a tavola perchè dicevi: a Losanna non è così buono. E rammenti come ti riprendevo per la tua severità nel crescere tuo figlio, però avevi ragione ancora tu, il tuo metodo ha funzionato, il tuo ragazzo è stupendo! Sa come stare al mondo, serio, raffinato ed elegante proprio come te. Pensa, gli hai persino trasmesso l'amore per i viaggi e la sua cultura mi lascia sempre sbalordita. Quando sorride, mi soffermo incantata a guardarlo, perchè ha il tuo stesso sorriso, la tua stessa bocca. Ricordi, quando l'avevano chiamato per lavorare in banca e lui dopo aver provato, ha rinunciato a quel posto così importante, dicendo che non voleva diventare un uomo grigio, quanto te la prendesti per il suo rifiuto! Però quella volta, aveva ragione lui, ora fa un lavoro che lo soddisfa e gli piace sui suoi amati aerei, ed è diventato anche capo stuart, così è sempre in viaggio come ha sempre desiderato. Sono certa sarai soddisfatta e che veglierai sempre su di lui. Quando vuoi, vienimi in sogno, sarò felice di parlare con te e starti un pò vicino. Ti voglio bene, sorellina cara!
martedì 21 luglio 2009
Una volta giocavamo così.
Se ai bambini moderni, si toglie la playstation nintendo e tutte quelle diavolerie ultramoderne, ecco che non sanno cosa fare, o per lo meno, non sanno giocare. Ricordo che noi bambini si giocava con poco, i maschietti passavano le ore a costruire, quello che ora chiamano elegantemente (monopattino), i miei nipotini lo possiedono bello e d'acciaio. Mio fratello, con gli amichetti più grandicelli, lo chiamavano: (il carrettino). Si trattava di un asse verticale, inchiodato ad uno orizzontale, con delle rotelle, una davanti e una di dietro, l'asse verticale finiva con una spece di croce che fungeva da manubrio. Per farlo andare bisognava usarlo nelle discese, con un piede sull'asse, e uno per terra per darsi la spinta e giù a rotta di collo, a metà strada, quando era troppo tardi e il carrettino aveva acquistato velocità si ricordavano puntualmente che erano sprovvisti di freni. Quante ginocchia e gomiti sbucciati! Noi femminucce invece con un coccio o con un gessetto, disegnavamo per terra dei quadrati numerati, alternati uno accanto all'altro con un preciso disegno, si lanciava un sassolino nelle caselle ,e poi si saltava dentro senza mai toccare le righe disegnate, una volta saltellando, una volta con un piede solo, poi ad occhi chiusi e così via fino alla fine. Si saltava con la storica corda, si giocava a nascondino. Dopo le fatiche all'aria aperta, c'era la mitica merenda, seduti davanti all'uscio di casa, si gustavano quelle belle fette di pane di grano, condite con olio d'oliva e sale, oppure pane con le cotogne. E chi le conosceva le moderne merendine! Che fanno pure male. Mangiavamo in completo relex, leggendo il corriere dei piccoli. il monello, l'intrepido. Non avevamo cellulari, non c'erano giochi elettronici, e non sapevamo nemmeno chi fosse lo psicologo a cui ricorrono volentieri le mamme moderne. La nostra vita era semplice, nel nostro piccolo mondo magari non avevamo tutto, ma c'era la voglia di vivere la serenità e l'allegria, tantissima allegria!
lunedì 20 luglio 2009
Il vecchio caro giradischi.
Con l'avvento della tecnologia, sempre più moderna e sempre più all'avanguardia, non ci si ricorda quasi più della vecchia radio e del buon vecchio giradischi. Però tutte le tecnologie del mondo, non sostituiranno mai l'eleganza e la sobrietà di quel mobile in radica che quasi ogni famiglia possedeva. Sollevando il coperchio sul piano superiore, dentro era tutto in velluto rosso dove c'era alloggiato il gira dischi, con puntine intercambiabili, ed un piccolo cuscinetto laterale che serviva per lucidare i dischi. Lateralmente, sia a destra che a sinistra si aprivano due sportelli dove venivano conservate le varie bottiglie di liquori per lo più fatti in casa dalle mani esperte della mamma, il mille foglie, strega, nocino ecc.. Frontalmente c'era la parte più bella ed elegante di tutto il mobile. vi scorrevano due sportelli in cristallo dove c'erano scolpite con effetto satinato scene di caccia o floreali e all'interno aveva le pareti completamente foderate in tanti mattoncini rettangolari a specchio che facevano una luce magnifica, lì si tenevano in bella mostra i servizi di bicchieri o da caffè più belli. Appena sopra c'era la radio con le manopole grosse di bachelite, una per cambiare stazione e l'altra per il volume. Il mobile di solito faceva bella mostra di se nella stanza più bella, che solitamente era la sala da pranzo dove tutti lo potevano ammirare. Si usava per le festicciole, dove si ballava con la musica e le canzoni dei dischi, erano feste fatte in casa fra amici, tante ragazze o pochi maschietti. Cosa pagherei per possederne uno, era di un legno lussuoso, "la radica", elegante nella sua forma quasi sempre bombata, raffinato nei particolari, niente a che vedere con i vari distributori di musica moderna, fatti per la maggiore in plastica o in metallo, all'avanguardia sicuramente ma dalle forme fredde e impersonali. Addio vecchio giradischi, addio vecchia radio, avete fatto il vostro dovere fino in fondo, facendoci compagnia, con voi abbiamo ballato e cantato le melodie più belle. le canzoni d 'amore più appassionate, con voi abbiamo sognato storie d'amore e principi azzurri.
domenica 19 luglio 2009
Quando il festival si ascoltava alla radio.
I miei ragazzi, sin da piccolissimi collezionavano le figurine dei calciatori con la raccolta Panini. Anno per anno, le incollavano su un album. Ora hanno trasmesso questa passione ai miei nipotini. E' uno spasso vederli discutere fra loro, quando si scambiano quelle doppie, infervoriti dal tifo proprio come i grandi. Mentre li osservo divertita, la mia solita lucina del tempo che fu, si accende puntualmente, facendo venire alla luce, i miei piccoli ricordi d'infanzia. La nostra raccolta non era quella delle figurine, ma era per noi ugualmente importante. Negli anni 50 ascoltavamo i tanti festival (di Sanremo e di Napoli), attraverso la radio. Vi stavamo incollati grandi e piccoli in religioso silenzio ad ascoltare le manifestazioni canore cercando di imparare le nuove canzoni. Il giorno dopo già nei negozi si poteva trovare con solo 10 lire, una bustina che conteneva: un foglietto colorato con il testo della canzone, un palloncino gonfiabile e una caramella morbida al latte. Continuando a comprare, inevitabilmente ci trovavamo ad avere le canzoni doppie, ed ecco che cominciava lo scambio, proprio come le figurine! Scambiavamo i vari: volare, luna rossa, papaveri e papere ecc...... Poi ci sedevamo sui gradini di casa e si cominciava a cantare le canzoni leggendo i testi nuovi di zecca. Quanto ci divertivamo! Quelle bustine per noi erano molto importanti. Poi come in tutte le cose, con l'avvento della televisione, finì quella strana e simpatica raccolta, tanto cara a noi bambini e la loro scomparsa segnò la fine di un'epoca, quella uditiva radiofonica, per lasciare il passo a quella più moderna, la visiva!
venerdì 17 luglio 2009
C'era una volta Pasqua!
Da parecchi anni quì in Lombardia, il lunedì di pasquetta non si riesce ad andare in un parco a fare un picnic, perchè puntualmente piove. Non ci sono più le primavere di una volta.
Mi ricordo i profumi e i sapori della Pasqua del sud. Quel tempo è così lontano che sembra appartenere ad un' altra vita. Le mamme, le nonne, con le vicine di casa, davano vita alle cucine ed era tutto un fermento, i fornelli andavano a pieno ritmo, si preparavano ciambelle, dolci del periodo e poi il grande pranzo per il giorno di Pasqua. Noi bambini giocavamo felici e sentivamo la festa nell'aria e il profumo che usciva dalle cucine, si mescolava con l'odore frizzante della primavera, che arrivava danzando gioiosa, coprendo le lunghe distese di prato con tappeti d'erba di un meraviglioso verde smeraldo. La festa della Santa Pasqua, si prolungava poi al giorno dopo, cioè al lunedì di pasquetta! Si andava con parenti, amici e vicini di casa in campagna, si stendevano le tovaglie da tavola sull'erba, ognuno portava le sue specialità e c'era l'immancabile cestino colmo di uova sode che la mamma faceva cuocere nello scarto del caffè per farle diventare marroni. Poi grandi e piccoli, ballavamo al suono melodioso delle fisarmoniche e delle chitarre. Si facevano cori a squarciagola fino a tarda sera. Dopo si tornava a casa stanchi, ma felici, per aver trascorso una meravigliosa giornata all'aria aperta, con le persone più care. Che tempi spettacolari! Ci si divertiva con niente, ma quel niente per noi era tutto!
mercoledì 15 luglio 2009
Il cappottino elegante
da qualche anno mi sono resa conto che sono nati parecchi mercatini dell'usato più o meno validi, nei quali si trova di tutto e sono visitati da persone di tutte le estrazioni sociali, poi, vuoi le ristrettezze economiche, vuoi il periodo diciamo un pò fragile nel settore economico, questi mercatini per certi versi servono anche a chi con poco, può permettersi cose che magari nuove non potrebbe. Pensandoci però l'uso dei mercatini non è nuovo, rammento che a Messina quando ero piccola esisteva già qualche cosa del genere, lo chiamavano (il mercato americano) dicevano che tutta la mercanzia esposta sulle varie bancarelle, arrivasse direttamente dall'America, non sò se fosse vero, però si trovava di tutto, dal vestito da sera, alle scarpe, alle coperte, ai vasellami e via dicendo. Ricordo che all'uscita dall'oratorio noi bambini, visto che era nelle vicinanze, andavamo spesso a curiosare, eravamo affascinati da tutto ciò che vi si trovava, le femminucce restavamo in adorazione davanti a vestiti di tulle pieni di paillettes e lustrini, veli colorati di ogni tipo e forma, sciarpe e cappellini che erano fantastici. Alcune (signore) della Messina bene, mi ricordo facevano ridere, dicevano che compravano abiti per le loro cameriere, si vergognavano ammettere che invece erano per loro. Una volta la mia mamma mi ha comprato un cappottino che era una vera delizia, turchese con il collo e i polsini di velluto blu, era accompagnato da un cappellino peloso che mi faceva sembrare una regina. Erano momenti di ristrettezze, la guerra era finita da pochi anni, quindi l'economia non era come si suol dire tanto florida, perciò anche un cappottino americano comprato in un mercatino di quei tempi era una vera sciccheria.
domenica 12 luglio 2009
Un triste pasticcio, un dolore infinito.
Come si può essere insensibili e far finta di niente quando accadono cose vergognose e meschine alle quali non si riesce a dare una plausibile spiegazione, per lo meno la spiegazione ci sarebbe, ma è talmente incredibile che stento a crederci io stessa. Da quando non vivo più in Sicilia sono rimasta in contatto con alcune delle mie tante cugine e cigini, per lo più parenti da parte di madre che ancora vivono a Messina. Appunto sere fa mi ha telefonato una di queste per darmi una brutta notizia apparsa su tutti i giornali regionali della Sicilia, La bara di mio padre, deceduto ad agosto l'anno scorso, si trova ancora al deposito cimitoriale in attesa di sepoltura, perchè nessuno si è interessato di lui. Ora io mi chiedo: che fine hanno fatto tutti i proventi dei suoi film? Che fine ha fatto il suo conto in banca? Che fine ha fatto il tanto amato nipote del quale si fidava tanto? Perchè non si è presentato nessuno, per fargli dare degna sepoltura? Quando si è ammalato, mio fratello lo ha assistito come solo un figlio può fare, poi all'uscita dall'ospedale, l'ha portato quì in Lombardia ed io me ne sono presa cura, anche se non meritava niente. Ho parlato con lui, gli ho detto papà rimani quì, sei solo, mi occuperò io di te vedrai sarà un modo per conoscerci e recuperare un poco del tempo perduto. Lui non ne volle sapere e mi disse che si sarebbe preso cura di lui, il figlio di sua nipote in Sicilia, che a lui avrebbe dato carta bianca su tutto, perchè di lui si fidava, visto che era un medico e avrebbe pensato alla sua vecchiaia e al suo funerale. Dopo averlo sentito parlare così, non ne parlai più, non volevo pensasse, ad un mio rendiconto personale e lo lasciai partire alla volta di Roma con mio fratello. Da quel giorno non l'ho rivisto mai più. Ho saputo in seguito che l'avevano portato a Messina e precisamente in una casa di riposo chiamata Villa Serena, nella quale è deceduto solo, senza accanto nemmeno il conforto di un cane, dopo soltanto una settimana dal suo arrivo. Di ciò che aveva non si sa come è sparito tutto. Dopo una vita all'insegna del successo, delle donne e della bella vita, se n'è andato solo e abbandonato. Ho saputo, che il comune di Messina si riunirà per decidere se con i proventi comunali, metterlo nel campo dei personaggi illustri o seppellirlo a Taormina. Comunque sia, resta la tristezza di un padre mai diventato padre e di un uomo che ha rifiutato l'amore vero e disinteressato, quello dei suoi figli e questo è stato il risultato delle sue scelte sbagliate!
mercoledì 8 luglio 2009
Le matite colorate
Quando i miei nipotini prendono i pastelli per i loro capolavori, li sparpagliano disordinatamente tutti sul tavolo, poi finito i loro lavoretti li ripongono in un contenitore. Osservando quel vaso pieno di matite colorate, mi affiora alla mente un brutto ricordo che credevo dimenticato. Ai tempi della scuola, quand'ero in collegio, ogniuno di noi scolare aveva il suo corredo di cancelleria. Una mia compagna di nome Rosa, (non dico il cognome per ovvie ragioni), possedeva un numero maggiore di pastelli, durante lo svolgimento di un compito di disegno, le aveva sul banco, io ammiravo quei magnifici colori che aveva in più e lei gentilmente mi disse: quando ti servono tinte che non hai, prendi pure le mie in prestito. Passò del tempo e un giorno mi ero fermata in aula per finire un disegno e dal momento che mi aveva dato il permesso, aprii il suo contenitore e presi quattro delle sue matite. Poco dopo passò la suora che mi invitò a scendere in cortile con le altre mie compagne, e siccome non evevo terminato il mio lavoro, riposi le sue matite provvisoriamente dentro il mio banco, pensando di avvertirla quando l'avessi vista. Lei però mi precedette e il dramma ebbe inizio quando tornammo in classe per il proseguo delle lezioni pomeridiane, Rosa all'improvviso si mise a gridare, mi hanno rubato i pastelli, prima c'erano! Era isterica, e gridava come una gallina a cui stavano tirando il collo, al che la suora intervenì dicendo: ragazze quì non siamo abituate a queste cose, quindi che saltino fuori le matite. Il terrore mi impediva di respirare, mi sentivo colpevole, e non ebbi il coraggio davanti alle mie compagne, di dire che le avevo prese in prestito io. Ero certa che non avrebbero creduto alla mia buona fede, così vigliaccamente stetti zitta. La sera prima di andare a letto, non vista misi tremante le matite in tasca, le ruppi in tanti piccoli pezzettini e le gettai nel water assicurandomi che l'acqua le portasse via. Per il pensiero non chiusi occhio tutta la notte, mi sentivo colpevole e mortificata, proprio io che odiavo la parola rubare soltanto a sentirla nominare. Certo fossi stata più grande e matura, avrei agito diversamente, magari rimettendole a posto di nascosto, ma da piccoli si agisce d'impulso e le cose sembrano più grosse di quello che effettivamente sono. Il suo grido di gallina spennata mi aveva terrorizzata e la mia proverbiale timidezza aveva fatto il resto.
martedì 7 luglio 2009
La granita di limone.
La prima volta che vidi la scritta in un bar di Lecco (granite e granatine) entrai con gioia pensando alle granite siciliane, quale delusione! Era ghiaccio tritato, con aggiunta di sciroppo. Le granite siciliane erano tutta un'altra musica. Rammento le mattinate d'estate appena alzati, non appena sentivamo la tromba del gelataio, noi bambini correvamo a metterci in fila davanti al carrettino con le monetine e il bicchiere in mano, che il gelataio ci riempiva con un mestolino di profumata granita al limone. Che colazione superba! Solitamente la granita era accompagnata da un fragrante e morbido pesciolino di pane, che gusto! Era una maniera fresca di cominciare le calde giornate Messinesi. Se chiudo gli occhi, sento ancora quell'odore di limoni che faceva inebriare. Il pomeriggio invece sopratutto di domenica, si andava in città, (abitavamo in campagna) e la mamma ci comprava il gelato racchiuso dentro una gustosissima briosc tonda con un bottone sopra. e mentre gli adulti chiecchieravano fra loro, noi bimbi ci gustavamo il nostro gelato in allegria. Momenti felici, che ormai appartengono ad un passato ingiallito dal tempo che inesorabilmente corre e spazza via ogni cosa. Però il ricordo della granita di limone.............chi se lo scorda!
lunedì 6 luglio 2009
L'amica virtuale.
Parlo sempre volentieri dell'amicizia, perchè lo ritengo un sentimento (quand'è vero) nobile e grande. Sono del parere che l'amico non lo devi nè cercare, nè tantomeno trovare, Arriva così! All'improvviso, entra nella tua vita, in punta di piedi e se è quello giusto ci rimane per sempre. Ci sono tante massime sull'amicizia, Prima fra tutte:
Chi trova un amico trova un tesoro.
L'amico arriva quando il resto del mondo se ne va.
L'amico non ti regala rose, ma ti toglie le spine.
L'amicizia porta il sorriso, dove l'amore lascia una lacrima.
Le frasi sono tali e tante che si potrebbe andare avanti per ore. Ma l'amicizia con la A maiuscola, esiste davvero? Chissà! Io nell'arco della mia vita, ho avuto l'onore di provarla soltanto un paio di volte, poi una volta per colpa mia e una volta non per colpa mia, è naufragata miseramente. Quindi, dopo profonda riflessione decisi con me stessa, amicizie, stop! Ho optato per delle buone conoscenze, non ci sono obblighi, non hai niente da coltivare, si parla del più e del meno e basta, non è il massimo, perlomeno non si soffre.
Ultimamente ho fatto un'esperienza che mai nella vita avrei pensato di provare, ed è (l'amicizia virtuale). Ci sono arrivata per puro caso e a dir la verità mi ha coinvolta subito, fra le tante persone che sento quasi giornalmente, due o tre emergono fra le altre, le sento più vicine al mio modo di essere, ci scambiamo pareri su argomenti di vario tipo, alcune volte di una certa importanza e altre volte si scherza con simpatia. In questa nuova esperienza mi trovo veramente a mio agio e scambiare modi di vedere diversi con persone che probabilmente non vedrò mai personalmente, non mi fa mancare la conoscenza fisica, perchè ci conosciamo per il nostro modo di pensare e vedere le cose in modo una diversa dall'altra, parlando anche della nostra vita e del nostro vissuto. Nel nostro rapporto l'aspetto fisico non ha nessuna importanza, siamo belle perchè facciamo parlare il cuore e i sentimenti, e in un mondo dove tutto è diventato superficiale ed effimero si può benissimo dire che questa è una maniera moderna per coltivare delle buone amicizie!
sabato 4 luglio 2009
Giorgio, maglietta bianca con l'869
Egoisticamente pensiamo, che solo per il fatto di appartenere al mondo, ci è tutto dovuto. Purtroppo non è così, la vita ci da tanto, alcune volte anche troppo. ma poi all'improvviso, quando meno te l'ho aspetti, chiede il conto e ti toglie tutto e allora ecco che ci si trova impreparati. Questo in sintesi quanto è successo a mio figlio Giorgio. Una bella famiglia, una bella casetta, un lavoro pieno di soddisfazioni, che mancava? Nulla! Nel suo piccolo pezzo di cielo splendeva il sole anche d'inverno. Poi un pomeriggio all'improvviso, come in un incubo da cui vorresti svegliarti ma non puoi, il piccolo cielo si è annerito. Tutto cominciò il 7 luglio 2008, con formicolii strani sotto i piedi, pensavamo fosse stanchezza, però man mano che le ore passavano, il malessere peggiorava, fin quando si trasformò in dolore, in seguito si paralizzarono le gambe. Di corsa alla clinica Gavazzeni di Bergamo, eravamo completamente frastornati, non capivamo cosa stesse succedendo. Dopo il ricovero, è stato tutto un peggioramento, dopo le gambe si paralizzarono le braccia, sul letto era come un burattino a cui avevano tolto i fili. I medici attorno al letto si guardavano in faccia, senza saper spiegare questa improvvisa paralisi. Il lampo di genio, venne ad una dottoressa che prestava servizio all'ospedale di Bergamo e aveva già visto altri casi come quello di Giorgio, la quale ipotizzò si trattasse (della sindrome di Guilen Barrè). Disse che era una grave malattia che si manifastava con paralisi progressiva delle arti, per infiammazione dei nervi. Dopo la diagnosi, si passò subito alla cura, passò giorni terribili, grossi aghi conficcati nei piedi, punture lombari, scosse elettriche, la speranza di tornere a camminare, gli faceva sopportare tutto. Poi all'improvviso il miracolo, dopo la prima flebo, si arrestò la paralisi e cominciò a muovere un'alluce poi le gambe e le braccia fra lo stupore dei medici che non si spiegavano come una malattia tanto grave e lunga nel suo percorso, potesse regredire così velocemente. Dopo qualche giorno lo tasferirono in un'altra struttura per la riabilitazzione. Dopo un mese esatto Giorgio (con le stampelle) era già in piedi. I dottori dissero che il fisico sano, la forza di volontà e la determinazione abbiano dato una grossa mano. Comunque, passando davanti al santuario della Madonna delle Ghiaie, il ringraziamento più grande è per Lei.
Ora, dopo questa esperienza, apprezza le piccole cose di tutti i giorni guardandole con occhi diversi e mi ha detto: mamma, stare in piedi e camminare è meraviglioso! Giorgio è quell' uno ogni 100.000 individui a cui è capitata la brutta esperienza d'aver conosciuto la sindrome di Guilen Barrè!
venerdì 3 luglio 2009
giovedì 2 luglio 2009
Il viale delle carrube
Quando il traghetto o l'aliscafo, arrivavano all'altezza della Madonnina nello stretto di Messina, alzando gli occhi verso le colline sopra la città, si poteva scorgere la casa rosa, non sò se si vede ancora. Era un casale molto antico nel quale ho passato i primi 10 anni della mia vita. Per arrivarci, (oltre ad attraversare la città) bisognava passare sotto un enorme filare di alberi di carrube, erano piante enormi stracolmi di bacche e la strada si chiamava appunto salita carrubara. Dopo uno stradone polveroso che si snodava in salita, cominciavano degli enormi gradini larghi e sconnessi ai lati dei quali si trovavano delle piante di gelso bianco alternate con delle piante di fichi d'india dai frutti colorati e gustosi, per raccoglierli, solitamente i grandi mettevano le latte vuote dei pelati, inchiodate a testa in giù su una lunga canna, così il frutto si poteva raccogliere senza pungersi, che favola mangiarli con il pane. Per terra c'erano dei meravigliosi gerani rossi con i quali ricordo io e le mie amiche d'infanzia, giocavamo alle signore, incollandoci con la saliva i petali sulle unghie. Salendo sempre più in sù facevano bella mostra di se delle piante grasse, le cui foglie a forma di spada, finivano con un'enorme spina dura che ogni qualvolta ci si pungeva, faceva male per giorni. C'erano poi delle piante di spina santa con i fiorellini rossi, le donne raccontavano che le spine rappresentavano la corona di Gesù Cristo mentre i fiorellini, le gocce di sangue che gli scendevano dalla fronte. Avvicinandosi alla casa spiccavano due cespuglioni di margherite bianche, stupendi! La casetta era semplice, niente di particolare tipiche case del dopoguerra magari mancavano i confort moderni, l'acqua non era in casa, ma quanto calore emanavano quelle quattro mura. Davanti c'era una grande veranda, dalla quale si godeva un meraviglioso panorama a perdita d'occhio, le coste calabresi sembrava si potessero toccare, che bellezza! Si vedeva il tipico duomo di Messina, le navi attraccate al porto, il mare limpido, con tutti quei colori, sembrava un'acquarello immortalato su un quadro da un gran pittore. Cosa pagherei per rivedere quei luoghi semplici ma magici, come li vedevo una volta, con gli occhi allegri e spensierati di bambina. Che tristezza pensare quei momenti poveri ma ricchi di magia!
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