domenica 30 maggio 2010

Fatalità.



Oggi domenica, dopo il pranzo i miei nipotini sono andati via con suo padre. E' una giornata triste e uggiosa, il sole si è ritirato nei suoi appartamenti e non si concede a noi miseri mortali. La casa è piombata in un silenzio rotto soltanto dalla tv accesa e da mio marito, che si lamenta per il piede che dopo l'ingessatura, non ne vuol sapere di sgonfiarsi. Io dovrei rassettare la cucina, ma prima un piccolo relax e al diavolo le faccende. La mia poltrona preferita è occupata da mio marito che non può muoversi ed io per il momento, mi sono trasferita sulla poltrona del salotto. Non è la stessa cosa, ma la stanchezza e la malinconia fanno effetto lo stesso. Chiudo gli occhi e il mio pensiero corre lontano. Avevo 16 anni, quando dopo il lavoro, per fatalità (avevo la mia adorata vespa dal meccanico e per giunta persi il pullman che mi riportava a casa). Era un bellissimo e caldo pomeriggio di giugno, decisi di andare a piedi, m'incamminai di buona lena, era una buona camminata che oltre tutto faceva bene anche al fisico. Dopo una curva che delimitava la fine del territorio di Lecco, assorta nei miei pensieri camminavo passo dopo passo, quando all'improvviso cominciai a volare e senza rendermi conto mi ritrovai al di la dello steccato che divideva la strada dal prato vicino. Vedevo in lontananza tanti visi chini su di me e non capivo cosa ci facessi in quella posizione. Cercai di sollevarmi, ma un dolore lancinante alla schiena mi obbligò a stare ferma. Dopo un vociare incomprensibile, delle braccia mi sollevarono e mi caricarono su una macchina, che correndo e suonando incessantemente, mi portò al pronto soccorso dell'ospedale di Lecco, davanti al quale ero passata una ventina di minuti prima a piedi. Tenevo gli occhi spalancati dal terrore, cosa mi stava succedendo? Arrivò un medico che mi disse: non temere, sei stata investita, ora cercheremo di tagliare gli abiti e vediamo.
Praticamente, mi raccontarono dopo, che un camioncino con al volante un ubriaco, sbandando per i fumi dell'alcool, uscendo fuori strada, mi aveva centrata in pieno buttandomi al di la dello steccato. La conseguenza fu costole rotte e anelli incrinati, ingessatura per 90 giorni, praticamente avevo una corazza di gesso, dal collo fino all'inguine, giugno, luglio ed agosto. Passavo il tempo semi seduta sotto un albero di casa mia, non potevo fare nulla e mentre le mie amiche erano in vacanza io all'ombra del mio albero sognavo ad occhi aperti il giorno che mi avrebbero tolto quella corazza.
Per quell'incidente, il mal di schiena diventò un affezionatissimo amico, ancora oggi ne pago le conseguenze e per un dottore che subdolamente si professava (amico) di famiglia, invece a nostra insaputa era il medico della controparte, persi buona parte di ciò che mi spettava. Ma questa è un'altra storia. PS. Quel medico, lavorava gomito a gomito nella stessa clinica dove prestava servizio mia madre, dividevano anche il pasto. Come dire: vai a letto con i cani e ti alzi con le pulci........

1 commento:

Lucia ha detto...

....è proprio vero , la giustizia non è di questo mondo.Oggi se apri i giornali non si fa altro che parlare di finti invalidi che percepiscono pensioni pur stando bene e magari i veri ammalati , sono ancora in attesa di un misero sussidio .Come vedi cara Assunta , le ingiustizie ci sono sempre state e sempre ci saranno AHIME'