lunedì 26 luglio 2010

Le baracche dei miei sogni



La televisione, è ormai deventata soltanto una passerella di idiozie, trasmissioni sterili e vuote che parlano, parlano, senza dire mai nulla d'interessante. Ogni tanto trasmettono dei bei documentari, li guardo sempre volentieri, perchè solitamente sono fatti molto bene. In uno di questi, osservando, come demolivano una baraccopoli fatiscente, sporca e vecchia, chissà perchè il pensiero mi ha portata lontano, a quando piccola, abitavo a Messina, in una minuscola casetta, che era poco più di un guscio di noce. Accanto allo stabile dove alloggiavo con la mia famiglia, sorgeva una baraccopoli nella quale vivevano tutti gli sfollati. La guerra era appena finita e i senza tetto erano tanti, ed ecco che le così dette baracche, spuntavano una dietro l'altra come i funghi. Erano di legno e tanti si spingevano ad avere anche il terrazzino o il giardinetto, con tanto di orticello, dove campeggiavano pomodori e ortaggi di ogni genere. I colori, non riuscivano ad abbracciarsi fra loro, stridevano nell'insieme le tinte più svariate, in un disordine senza criterio. C'erano bambini che erano nati, cresciuti a anche sposati, in quelle fatiscenti costruzioni e se una volta convolati a nozze, avevano il problema dell'alloggio a loro volta, niente problema! Quattro assi e la casa era pronta e così giorno dopo giorno la baraccopoli cresceva a dismisura e con essa crescevano i disagi della povera gente.
Per assurdo, io nella mia innocenza di bambina, invidiavo tutti quei piccoli che vivevano in quelle casette di legno, così strane e non mi rendevo conto che la fortunata ero io, che sebbene vivessi in un'appartamento piccino, per lo meno erano muri solidi e sicuri. Ricordo che ho provato a trovarmi all'interno di quei fabbricati in legno, con qualche amichetta a giocare durante una giornata di pioggia. I tetti di legno filtravano acqua e loro per ovviare a questo inconveniente e non allagarsi, mettevano sotto la perdita, di tutto, dalle pentole alle tolle di latta grosse, per intenderci, quelle che si usavano per contenere i pomodori pelati, oppure anche dei secchi di metallo. Il ticchettio dell'acqua piovana nei vari recipienti, procurava uno strano suono, una musica particolare, che per noi bambini diventava una spece di gioco, noi piccoli non capivamo il disagio degli adulti, in quegli ambienti freddi d'inverno e caldi d'estate, pieni di muffa, ed io nonostante tutto, continuavo ad invidiare gli abitanti di quelle fatiscenti baracche, senza sapere nella mia ingenuità, che quelle che per me erano delle fiabesche villette, erano per loro dei veri e propri problemi, vivere nella maniera più indigente, in mezzo al fango, senza servizi igienici, pantani con enormi pozzanghere invece delle strade, umidità e topi compresi.

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